Cobò è morto,
E non gli possono fare il trasporto.
Ma quello che piú rabbia fa
è che nessuno avrà la grande eredità.
Intorno alle altissime mura
che circondano il castello di Cobò,
gira e rigira la gente
nella massima paura.
Vengono dal castello
le grida piú disparate,
cori altissimi infernali
di centinaia d'animali.
La gente gira intorno alle mura,
sempre pronta per scappare,
nella massima paura.
– Se venisse fuori quella scimmia in livrea
che ogni tanto s’affacciava alla porta?
– Dio mio!
- Uh! Uh!
- Com’è che non s’affaccia piú?
– A quest’ora sarà morta.
– E tutto questo chiasso chi lo fa?
– Che po’ po’ di diavoleto!
– Gente mia che fracasso!
– Non sentite che fetore?
– Chi sa là dentro quanti ne muore
di quegli animalacci!
– Accidenti a Cobò!
– Lo sapete? Io lo so come anderà a finire,
che con questo lasciare, con questo aspettare,
finiranno per appestare mezzo mondo!
– Ditelo voi come si deve fare.
– Buttar dentro delle bombe e sparare,
e sparare, e che bruci ogni cosa!
all’inferno la roba e Cobò!
– Se non ci volete stare ve ne dovete andare.
– Gesummaria!
– Può venir fuori qualche epidemia.
– Chi sa di che malaccio è morto.
– Ma la polizia, la polizia...
– Oramai quelle bestiacce
hanno mangiato diecimila Cobò.
– Chi sa da quanti giorni è morto!
– Se saltasse fuori un cane?
- Con in bocca un pezzettino di Cobò.
– Si sapeva come doveva finire,
gli sta bene a quel matto di Cobò,
di finire mangiato dalle bestie,
quando gli uomini han di quelle teste...
– Se venisse fuori l’orso?
– E ci desse qualche morso?
– Accidenti a Cobò!
– Dalla porta non possono uscire
perché l’hanno fatta sbarrare...
– Ma posson saltar fuori dalle mura,
le scimmie si sanno tanto bene arrampicare...
– Mamma mia che paura!
– Buttateci dentro il fuoco!
– E tutti quei gran soldi chi gli piglia?
– Non aveva una famiglia?
– Dicon che fosse figlio dell' imperatore.
– Di chi, di Napoleone?
– Cosa c’entra Napoleone!
– Aveva l’oro a sacca,
e le casse eran piene di biglietti da mille.
– E ora, chi li piglia?
– Chi sa come riducon la roba
quei maledetti animali!
– Buttategli da mangiare,
e fateli scappare
quando son bene sfamati.
– Ma sarà pieno di cani arrabbiati,
e qualcheduno può rimaner nascosto.
– E tutte quelle scimmie?
– Ce n’eran vestite da monaca e da frate,
da militare, da servitore e cuoco...
– Fuoco! Fuoco!
– Dategli fuoco!
– Ecco una ronda di civette!
– Guardate quante!
Si segna la gente.
«Uomini»,
disse agli uomini Cobò,
«non mi voleste vivo,
non mi potrete avere quando morirò.
Detti agli uomini il mio oro, a piene mani,
e gl'uomini m’insultarono
perché non ne ebbero abbastanza.
Risparmiai il mio oro, e m’insultarono
perché glie lo negai.
Passai, uomini, fra voi coi miei cocchi dorati,
seminaste insulti e sputi sopra i miei passi,
mi lanciaste anche dei sassi.
Discesi, umile fratello vostro,
e v'incontrai la sera
quando ritornavate dal lavoro,
m'insultavate perché non avevo lavorato.
I miei occhi vi dicevano
che vi avrei amato,
che tutto vi avrei dato di me,
che mi sarei spogliato sulla via, ai vostri piedi
se mi aveste amato.
Torvi mi guardaste beffandomi
e mi tacciaste di follía.
Sulla piazza gridai: fui deriso e insultato.
I miei uomini mi chiamarono
duramente padrone,
nessuno mi chiamò fratello.
Fuggii chiedendo ad una bocca di rosa
di dissetare queste labbra riarse,
a due mani delicate
di sopire il battito della fronte e del petto,
ma vidi quelle labbra,
indifferenti alla mia bruttezza
come alla mia bontà,
sorridere avide della mia ricchezza,
e quelle mani divenute artigli
carpire crudelmente, senza pietà.»
Ma ritornando a casa, Cobò,
dopo il rifiuto degli uomini
trovò i suoi cani
che gli corsero incontro e gli fecero festa.
Le sue scimmie lo carezzarono
come compagne dolci,
come buone sorelle,
lo rallegrarono coi loro scambietti;
e sotto le sue mani
i gatti s'acquattarono morbidamente.
Vicino alla sua testa, al capezzale,
quando sfinito si addormentò,
la civetta rimase desta e vegliò.
E i galli la mattina,
risvegliandolo rasserenato,
gli promisero un dí di tenerezza;
l’orso gli venne innanzi
ballando bonariamente.
«Di voi sarò, solo di voi»,
e si rinchiuse nel suo castello.
«Non vedrò piú un uomo,
sarò di voi, tutto di voi;
vostro sarà il mio cuore,
vostro tutto il mio amore.
Voi mi amerete
finché vi darò da mangiare,
poi... mangerete me...
Gli uomini che sfamavo
mi volevan mangiare
quando gli avevo bene sfamati.
Uomini,
non mi voleste vivo,
non mi potrete avere
quando morirò.»
Chicchichirichi!... Chicchichirichi!...
«Ecco il dí.»
Cantano i galli di Cobò.
Il vecchio Cobò è sul suo letto che muore
fra poche ore.
Povero Cobò! Povero Cobò!
Ciangottano i pappagalli.
Addio Cobò! Addio Cobò!
E le galline:
cocococococococodè:
«oggi è per te»
cocococococococodè:
«Cobò tocca a te».
Le tortore piene di malinconia
si sono radunate in un cantuccio:
glu... glu... glu...
«non ti vedremo piú».
I cani si aggirano mesti
con la coda ciondoloni, mugolando:
bau... bau... baubaubò:
«addio papà Cobò».
E i gatti miagolando:
gnai... gnai... gnai... fufú
«Mai... mai... mai piú».
E le cornacchie:
gre gre gre gre:
«anche te, anche te».
Fissando il capezzale
la civetta
veglia e aspetta.
Nella stanza le scimmie non riparano,
tastano il polso e la fronte di Cobò,
gli tiran su i guanciali,
gli rimboccano i lenzuoli.
Una, mescola del tamarindo in fretta,
una gli fa il massaggio sui ginocchi,
una piange in un cantuccio
(Cobò straluna gli occhi)
e si rasciuga le lagrime comicamente.
E i pappagalli: povero Cobò!
I gatti, i cani
giacciono ai piedi del letto
malinconicamente.
Una scimmia va e viene
vestita da dottore,
con la tuba in mano.
Cobò muore.
Una vestita da prete si butta su la stola,
Cobò non vede piú,
brancola colle mani,
e gli van sotto i suoi cani
cercando l’ultime carezze tremanti.
Solleva la testa...
una scimmia lo sorregge,
quella vestita da prete
ogni tanto gli unge i piedi.
Una vestita da scaccino,
con la berretta in testa,
sta fissa per aspettare
di andare a suonar le campane.
Cobò da un gemito... e cade.
Si ritraggono dal letto in un fremito
tutte le bestie,
e restan ferme a guardare.
Uno scimmione in livrea apre la finestra.
La civetta sempre sveglia
al capezzale veglia.
I cani sotto al letto distesi
emetton dei gemiti lunghi,
e i pappagalli:
Povero Cobò! Povero Cobò!
Giunge per la finestra
uno stormo di civette.
Le scimmie intanto
si rianno dalla disperazione.
Una raccomoda il letto
intorno al morto padrone,
una smette di piangere
e va ad aprire il cassettone:
un’altra trae fuori pezzi d’oro,
gemme, gioielli,
e tutti se li pone nella sacca della gola.
Una viene ad assicurarsi
che il padrone sia morto
e con feroce ghigno
corre ad aprire uno scrigno:
prende pacchi di biglietti da mille
e gli spande per la camera.
Una ne leva uno
e lo guarda bene teso contro luce,
quindi se lo stropiccia sopra e sotto,
e un’altra vi accende un sigaro
placidamente.
I gatti incominciano a miagolare,
i cani passeggiano inquieti,
l’orso viene in camera a ballare
in attesa che Cobò
gli dia consueto desinare.
I galli e le galline
si rovesciano nel giardino a sperperare.
Lo scimmione in livrea
è rimasto alla finestra senza articolare.
E le scimmie rovistano,
frugano dappertutto,
si litigano la biancheria,
la strappano, la scuciono,
buttan fuori dagli armadi e dai cassetti,
fanno a pezzi dei merletti,
ci si coprono la faccia
o se li provano intorno alla vita,
li misurano con le braccia.
Qualcuna butta dalla finestra
tutto quello che le capita.
E i pappagalli:
Povero Cobò! Povero Cobò!
Caffè! Caffè! Caffè!
– Buttate dentro il fuoco!
È l’unica salvezza,
con ogni precauzione.
Se saltan fuori dei cani arrabbiati
li ammazzeremo.
– Fuoco! Fuoco!
E pronti con destrezza
per ammazzar le bestie
che potessero uscire.
- Fuoco! Fuoco!
- Un poco! Un poco!
- Fuoco!
- E le robe preziose?
- Fuoco!
- E tutto l'oro?
- Fuoco!
- E tutti i fogli da mille lire?
- Fuoco!
- Quel porco aveva il tesoro.