REGINA CARLOTTA

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Ella passa.

La gente s'accalca
ai ferri del cancello,
taluno a voce bassa
si contende il vano
dell'ultimo ferro.

Ella passa.

La gente nell'attesa
guarda il gran castello
nel mezzo del piazzale.

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Tutto chiuso il castello,
tutto vuoto il piazzale.
La reggia non è più
che un lungo interminabile
viale.

Ella passa.

Silenzio.
La gente s'accalca.
Ora s'accomodano in due
per ogni vano di ferro.

Ella passa.

Ai vani del cancello
si zeppano le teste,
si sbarrano cent'occhi
delle genti peste.

«Eppure l'ora è già,
compiuto dovrebb'essere il suo giro,
l'ora è passata».

Ad ognuna delle teste

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s'affaccia lo stessissimo pensiero.
«Che sia malata?»
Dove malata?
Che sia caduta?
Dove caduta?
Macchè malata!
Macchè caduta!»

All'angolo dell'umido viale
la Regina appare.

Silenzio sepolcrale.

S'avanza piano piano
come strisciasse il suolo,
al solito.
Ognuno par diventato di sasso
davanti al suo passo.
S'avanza.
Ella viene.
«Come si vede bene!»
È proprio dinanzi al cancello.

A stento trascina
l'enorme mantello nerissimo
che tutta la cuopre.

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Le scende dietro in coda infinita
quel pesantissimo vestito di lutto.
Vi corre sopra, come un fiume d'oro,
l'ondulata sua chioma.
Sotto il fitto velo
traspare il volto bianco,
quel povero sguardo stanco
fissa la terra.

Sempre così, sempre così.
Ella passa e non si volge
alla gente che s'accalca al suo cancello,
sempre quel viso
sempre quel mantello,
sempre quel passo,
sempre quell'eterno giro attorno al suo castello,
e il giro dura un giorno.
Sempre la stessa gente che s'accalca
ai ferri del cancello.
Sempre quel medesimo silenzio.

Il suo giro è finito,
ricomincia il nuovo
attorno al suo castello vuoto.
La gente a poco a poco
spopola il cancello.