Ella passa.
La gente s'accalca
ai ferri del cancello,
taluno a voce bassa
si contende il vano
dell'ultimo ferro.
Ella passa.
La gente nell'attesa
guarda il gran castello
nel fondo del piazzale.
Tutto chiuso il castello
tutto vuoto il piazzale.
La reggia non è più
che un lungo interminabile
viale.
Ella passa.
Silenzio.
La gente s'accalca.
Ora s'accomodano in due
per ogni vano di ferro.
Ella passa
Ai vani del cancello
si zeppano le teste
si sbarrano tanti occhi
delle genti peste.
«Eppure l'ora è già,
compiuto dovrebb'essere il suo giro,
l'ora è passata».
Ad ognuna delle teste
s'affaccia lo stessissimo pensiero:
«Che sia malata?
Perché malata?
Che sia caduta?
Dove caduta?
Macchè malata!
Macchè caduta!».
All'angolo dell'umido viale
la Regina appare.
Silenzio sepolcrale.
S'avanza piano piano
quasi strisciasse il suolo,
al solito.
Ognuno par diventato di sasso
davanti al suo passo.
S'avanza...
Ella viene.
«come si vede bene!»
È proprio davanti al cancello.
A stento trascina
l'enorme mantello nerissimo
che tutta la ricuopre.
Le scende dietro in coda infinita
quel pesantissimo vestito di lutto.
Vi corre sopra come un fiume d'oro
l'ondulata sua chioma.
Sotto il fitto velo
traspare il volto bianco,
quel povero guardo bianco
fissa la terra.
Sempre così, sempre così.
Ella passa e non si volge
alla gente che s'accalca al suo cancello:
sempre quel viso
sempre quel passo
sempre quel mantello,
sempre quell'eterno giro
intorno al suo castello:
e il giro dura un giorno.
Sempre la stessa gente che si accalca
ai ferri del cancello.
Sempre quel medesimo silenzio.
Il suo giro è finito.
Ricomincia il nuovo
intorno al suo castello vuoto
La gente a poco a poco
spopola il cancello.