il ballo,

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Come si fa, una festa ci vuole
ogni tanto.
Il ballo è un’abitudine antica,
non si può sradicare.
La festa è, per certuni, un dovere.
Come si fa durante il carnevale,
o la stagione,
a non aprire mai le proprie sale?
Non per gli altri, s'intende, ma per me,
giacchè il mio ballo
è
solamente per me.
Come tutti del resto,
i balli, non son dei ballerini,
ormai si sa,
ma del padrone di casa
che li fa.
Chi gli può contestare
questa legittima proprietà?
Lui fa il ballo e gli altri beccano,
il ballo resta a lui,
il becchime alla società.
Due o tre volte durante l’inverno

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c’è ballo al mio castello.
Non mando nessuno ad invitare,
quelli che debbono venire
lo sanno bene da sè.

Quale martirio
dover pensare a preparare,
eppoi dover preparare.
Spolveratura generale
di tutte le sale;
che tutto sia pulito con cura,
per la buona figura,
per uno come me,
anche se non vede nessuno.
Preparare la musica, i fiori, le candele,
il buffè.
Che seccatura, che seccatura, ahimè!
Eppoi viene la sera.
Le porte sono spalancate,
i lumi si accendono alle dieci.
Giungono silenziosamente
da ogni direzione
carri carrozze cocchi,
ne scendono le dame,
si lisciani, si stirano,
si sgargiano, si sboffano,
incedono, sculettano,
s’apprestano a prender posto nelle sale.
Mi si chiudono gli occhi
e tutto quel passare,
questo giungere in fretta,

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ad un tanto via vai per le mie scale:
chi sale
chi scende
chi aspetta.
Intanto sono a prepararmi
con l’abito di gala,
fracche rosso, il più bello,
magnifica corvè,
(e non è un bal masquè).
Doversi ammannire una faccia
da sembrar per la quale,
e poi, alla mezzanotte, entrare.
«Che c'è? Che c'è?».
Entra il re.
Entra e saluta.
Tutti gli occhi addosso a me
dalla mia folla muta.
Non una mossa sola
ne deve andar perduta.
Mi strisciano le dame
i loro inchini più profondi,
cercando di mostrarmi
meglio che sia possibile,
i loro piccoli mondi,
che si vedono a metà
nella seminudità.
Dopo mi guardo attorno,
e incomincio ad affettare un sorriso
tra l’indifferenza e la sofferenza,
e m’armo di pazienza.

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Faccio un giro per le sale
col mio sorriso studiato,
eguale,
che serve per tutte le dame
senza guardarle in viso,
e più altezzoso ancor coi cavalieri,
nostrani o forestieri;
saluto generale, e penso:
ora, queste brave signore,
vorranno ballare,
(quando si è in ballo
ciascuno sa quel che bisogna fare),
e avanti pure:
quadriglia d’onore.
Mi piazzo nel centro della sala
con gli occhi semichiusi,
e mi vedo ronzare dintorno
centinaia di musi.
Mi perdo a tutto quel girare
di gente così diseguale,
alle mie serate
tutte le mode sono rappresentate,
prudente o saggia,
pomposa o sbarazzina,
da monna Eva
all'ultima creazione parigina,
tutte le mode van bene
incominciano da me
(e non è un bal masquè).
Figura finale.

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La mia parte è finita.
Lascio i miei convitati,
faccio aprire il buffè.
«Andate, andate».
Faccio aprire le sale
con le tavole apparecchiate,
«andate pure».
C’è d’ogni ben di Dio,
ogni lusso di ghiottonerie,
vini e liquori a orci,
«potete sfamarvi e dissetarvi
come tanti porci».
Io mi ritiro nel mio appartamento
seccato e stanco,
mi direte: «di che?»
un ballo è sempre seccante per me,
anche quando è
solamente per me.
Ma come si fa,
una festa ci vuole
ogni tanto.