Non sogno piú castelli rovinati,
decrepite ville abbandonate
dalle mura tutte screpolate
dove ci passa il sole.
Non palazzi provinciali disabitati,
dalle porte misteriose
le vetrate colorate
le finestre ferrate,
non piú.
Non piú colli soleggiati,
non cime di montagne,
isole luminose,
non piú.
Non solitarie vie
infinite, polverose,
dove sfogare le mie malinconie.
Mi son venute a noia queste cose.
Non prati sconfinati
ricoperti di margherite,
circondati di stupore.
Non parchi bagnati di dolore.
Non fontane, non cancelli,
attonite folle mute
non piú;
non piú il croscio dei ruscelli
rapito ascoltare
all’ombre silenziose;
non le grida degli uccelli,
non piú.
Sogno tutt’altre cose
che con queste non han nulla che fare.
Non me ne dovete volere
se oggi ho cambiato parere.
Io sogno una casina di cristallo
proprio nel mezzo della città,
nel folto dell’abitato.
Una casina semplice, modesta,
piccolina piccolina:
tre stanzette e la cucina.
Una casina
come un qualunque mortale
può possedere,
che di straordinario non abbia niente,
ma che sia tutta trasparente:
di cristallo.
Si veda bene dai quattro lati la via,
e di sopra bene il cielo,
e che sia tutta mia.
L’antico solitario nascosto
non nasconderà piú niente
alla gente.
Mi vedrete mangiare,
mi potrete vedere
quando sono a dormire,
sorprendere i miei sogni,
mi vedrete quando vado a fare i miei bisogni,
mi vedrete mentre cambio la camicia.
E se in un giorno di malumore
mi parrà di litigare con la serva,
prenderete la sua parte, lo so,
farete benone,
non c’è niente di male;
v'accorgerete dalla mia cera
come va la mia arte,
mi vedrete chino sopra le carte
dalla mattina alla sera.
E passando mi potrete salutare,
augurare il buongiorno e la buonanotte:
io vi risponderò.
Se ogni tanto mi vedrete
che faccio la pipí,
non vi scandalizzate,
o ditemi: «piscione!»
se no peggio per voi,
non vi dovete voltare
quando passate di lí.
«All’erta dormiglione,
è alto il sole!»
La mattina vi sentirò gridare.
«Pigrizia e poesia vanno a braccetto»
vi sentirò borbottare.
Ma farò finta di non sentire
per restare un altro poco
a cucciare dentro il letto.
E quando non ne potrò piú,
mi butterò giú.
– Riso e cavolo per desinare.
– Dev’essere in bolletta.
– Mangia la minestra con la forchetta!
– Che razza d’animale!
– Beve acqua per risparmiare.
– Beve acqua perché gli piace.
– Che ci sia qualche cosa
con quella cameriera?
– Mamma mia che indecenza!
– Brutta a quella maniera?
– Ma la notte cosa fanno?
– Bella, vanno a dormire.
– Quella è la stanza di lui,
quella è la stanza di lei,
accanto la cucina...
– Ti piacerebbe di stare in quella casina?
– No davvero no davvero,
vivere a quel modo in berlina.
– Due camere un salotto e la cucina.
– Hai visto il cesso com’è bello?
– È di vetro anche il cariello.
– Ma cosa è andato a inventare.
– Guarda guarda, va al cassettone...
Ah! no... che cosa anderà a fare?
– Mamma mia!
– Che si butti un po’ sul letto?
– Bambine venite via!
– Sarà stanco poveretto!
– Non vedi che viso bianco?
– Qui bisogna riparare!
– E il comune, che gli ha dato il permesso
di fabbricare una casa di quel genere!
– Vi sbagliate!
– Ha ragione, per Dio!
Me ne sto facendo una anch’io!
Quando gli uomini vivranno
tutti in case di cristallo,
faranno meno porcherie,
o almeno si vedranno.
- Sostenete delle tesi sbagliate.
– È un pazzo come lui.
– E come se ne sta tranquillo,
quel po' po' di salame.
– Guarda guarda, ci saluta.
– Ah, ci ha detto: «buona passeggiata».
– Buon lavoro, poeta.
– È una gran puttanata!
– Ma che bella trovata.