A una parete della mia stanza da letto
è appeso un orologio vecchio,
uno di quelli dell'antica usanza
con le catena e il peso.
Un tempo lo caricai
tanto per far qualcosa,
non sapendo precisare
se piú m’irritasse fermo
o piú il suo maledetto andare.
Da tanto e tanto tempo
l’orologio non va piú.
Lo guardavo sempre con ghigno
tramandogli una fine,
una molto triste fine,
a quel ciarliero maligno.
Uomini,
voi tutti portate addosso un orologio,
ma non potete sapete
quello che lui di voi sa,
tutto egli segnerà,
e non ve lo dirà
mai.
Lo guardavo pensando:
orologio, tutto tu sai di me,
dimmi l’ora ch’io morirò.
Le due?
Le cinque?
Le tre?
Le tre e un minuto, e due minuti?
Dio!
Mi sentivo morire tutti i minuti.
Sopra il vile orologio
le mie ire infuriai,
quando mi capitò fra le mani gli tirai:
sozzure, sputi, insulti, scarpe, calamai.
Ed egli si fermò.
Si fermò sulle sei.
Mi parve sul momento
d’esserne liberato,
che non battesse piú,
che si fosse fermato.
Ma il dí seguente,
giunta quell’ora
io lo guardai,
e da quella immobilità feroce
compresi che quella
doveva esser l’ora
inesorabilmente.
Tutti i giorni dovevo
a quell’ora morire?
Quell’ora del tramonto
o dell’Ave Maria,
prima della notte
o ultima del giorno,
le sei,
ora terribile di tutti gl'incubi miei.
Quell’ora serale
era divenuta giustamente
la mia ora sepolcrale.
Nella disperazione
corsi sull’orologio... e lo sventrai.
Tutto gettai, vetro, lancette,
il suo tagliente meccanismo infernale,
tutto dispersi.
E non si vede ora
che una mostra bucata,
e un pezzo di catena
rimasta ciondoloni
con una ruota attaccata.
Brandelli di quel lurido ventre
che sbudellai.
Uomini che da voi non sapeste nascere,
da voi non saprete neppure morire;
ma vi tenete caro un ordigno
che sa la vostra ora
e non ve la dirà;
tutti i giorni ve la batte nel seno
col battito del cuore,
e non ve n’accorgete.
Io benedico a chi sa l’ora di morire,
e m’inginocchio ai piedi del suicida.
E penso: che aspetto?
Aspetto che ad uno ad uno cadano
tutti i miei bei capelli,
i miei bei denti?
Aspetto che una piaga gialla
sbuchi da qualche parte
per insozzare la mia pelle bianca,
e l’invada, la ricopra?
Oh! com’è bello morire
con un fiore rosso in fronte.
La rosa piú vermiglia
che si sfoglia... che si sfoglia...
a lato della fronte bianca.
O dalla torre piú alta
darsi alla voluttà del vuoto,
dello spazio.
Che sul mondo rimanga
una macchia vermiglia solamente.
E tu che la sai quell’ora,
scritta è già sulla tua fronte,
tu,
mantenendo il tuo trotto
tranquillo la segnerai
e passerai.
Ed io non potrò dire:
era quella,
quella che mi fece tremare ogni dí,
quella che passò inosservata,
quella alla quale non pensai.
No. Io mi faccio una torre sopra il monte,
la piú alta del mondo,
su tutti i tuoi minuti
tutti i suoi mattoni,
e vi salgo all’ora mia,
l'ora scelta da me.
Mi fermo per sentire il battito
di tutti gli orologi del mondo,
cuori inutili e vili,
e ti grido:
«orologio, guarda, mi getto!».
E faccio l’atto.
«Ah! Ho sentito uno scatto.
Sei stato tu,
tu che hai segnata l’ora già,
hai creduto che fosse quella.
Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!
No, non era quella,
è quella che so io,
sono io che comando,
sono io che darò l’ora a te, Ora.»
Trovar nella mia gola,
far salire dal mio ventre
le piú folli, le piú oscene risate,
i lazzi piú sconci,
i gridi di scherno piú acuti,
e farti aspettare altri cinque minuti.