A MIO PADRE,
instancabile e geniale lavoratore,
affettuosamente.
Un poeta quando è stanco
cambia castello;
piglia sulle spalle il suo fardello
come un qualunque saltimbanco.
O come un povero uccello
cambia lido
quando gli rompono il nido.
Lassù non ci si poteva più stare,
è inutile, non ci si poteva più stare.
Senza tanto pensarci
decisi di cambiare.
Cambiare castello.
Il posto era assai bello,
le passeggiate, i dintorni,
le adiacenze,
la casa era distante dal cancello,
ma la vita si era ridotta
zeppa d'inconvenienze.
Mi conoscevano tutti,
un pochino alla volta
tutti m'avevan conosciuto,
e il bello d'un poeta
è, l'essere sconosciuto.
Tutto di me sapevano,
appena fuori d'un passo
tutti mi salutavano,
nella via mi squadravano,
mi pesavano, ed ognuno
voleva dir la sua.
– È un poeta.
– Che giovine elegante!
– Sì, ma è troppo stravagante.
– Oggi, peccato, non à quel famoso cappello....
– L'ài mai visto con quell'ombrello
giallo a righe turchine?
– E con quel mantello nero?
– Buffo vero?
– Con quel pastrano rosso di velluto?
– Buffo, l'ài veduto?
– Ma si sa come vive?
– Gira sempre con un taccuino,
ogni tanto si ferma e ci scrive.
– Sapete? È fuori per un giorno.
– Oggi o domani va a Livorno.
– Ci sta molto?
– Prende il biglietto di andata e ritorno.
– Stamane à un po' di tosse.
– Stasera mangia le frittelle.
– A quest'ora telefona alle stelle.
Non ci si poteva più stare.
Il sindaco una volta
osò chiedere aiuto
per una calamità del paese,
quando l'ebbe avuto,
non più in là di un mese,
altra calamità,
altra supplica.
Scrivere, per favore,
il testo di una lapide per un paesano
morto senatore,
e un sonetto per il numero unico.
Un dono per la fiera,
con lettera di preghiera
d'accettare la carica
di presidente onorario.
Il priore raccomandava
le anime sante del purgatorio.
Confraternita della misericordia,
questua domenicale.
Qualche supplica speciale al Signore
per ottenere una protezione
speciale del paese.
Orazione delle quarantore.
Colla mia grande ammirazione
per le beghine
m'avevan preso per un clericale.
Suggerire l'epigrafe
per un piccolo angioletto,
con un mottetto dolce per finale.
Detto una volta di sì,
la bella pace finì.
Il bidello, lo scaccino,
erano sempre al mio campanello.
Decisi di cambiare;
e venni qua lontano, sul mare,
da tutta opposta via,
in cerca di una casa
che potesse diventare la mia.
«Si affitta. Si dà via.
«Villino da vendere,
«Con e senza mobiglia.
«Miti pretese.
«Rivolgersi al custode di Villa Agnese.
«Villa Irene,
«dodici ambienti, bagno, acetilene.
Su, su, lontano dall'abitato,
trovai quello che avevo sognato:
un decrepito castello
mezzo rovinato.
«Si vende.
«Rivolgersi in città
«Via Rubacode
«Rapezzini negozio di mode.
Qui nessuno ci sta,
tutto vuoto.
Ottima qualità.
– Ecco Signore,
e il vecchio andava avanti,
– la porta è sgangherata
ma i battenti sono di pregio,
guardi belli i mascheroni,
occorrono molte riparazioni, si sa.
La Contessa morì dieci anni fa,
e d'allora nessuno c'è venuto più,
nessuno n'à avuto più cura.
La Contessa era centenaria.
– Sola vi abitava?
– Con due sue vecchie donne
che morirono anch'esse poco dopo,
erano come lei centenarie.
Era molto decaduta,
ma fu, in sua gioventù,
la prima dama della nostra città.
Questi luoghi, signore,
furono sempre praticati
da grandi uomini,
questi terreni furono pestati
da scienziati e da poeti.
– Male, buon vecchio, male,
preferisco terreni pestati dagli idioti.
– Perchè signore?
– Bella, per imparare.
– Guardi da questa finestra, signore,
i monti e il mare.
– Ci sono di belle passeggiate?
– Tante, tutte meravigliose,
su per queste colline, lungo il mare....
– E lunghe vie piane ci sono?
lunghe, uguali?
– C'è la via provinciale.
– È assai vicina?
– Passa di là sotto quel gruppo di case,
ma è la più polverosa,
la più noiosa per passeggiare.
– A me però va bene.
– Perchè signore?
– Per camminare
senza misura, pensando alle cose mie,
(per mettere insieme le mie strane poesie.)
Quest'ammasso di rovine
mi va, buon uomo, mi va,
è un covo da gufo
che per me farà.
Ci sono abitatore felice
da tanto tempo, nel mio castello
che odora di centenario,
di beghine morte lentamente....
«senza male, disseccate al sole
«come le rose e le viole,
«senza la consueta putrefazione.