Seduti alla tavola
lunga strettina,
gl'infelici sono undici.
Imbandimento del massimo lusso.
Gran copia di fiori
nei vasi d'oro e d'argento,
cristalli squillanti e lucenti.
Tutti in fila, gli undici,
seggono nella massima rigidità,
senza mai volgersi
di qua o di là.
Àn tutti le mani congiunte,
compunte, i gomiti stretti,
la bocca serrata,
inarcate le sopraciglia,
e guardano il piatto di scorcio.
Sol uno, ch'è intento a ripetere
sulla tovaglia,
colla sua forchetta,
instancabilmente
la solita lettera, un'o.
E uno, che rotola rotola
per la tovaglia
il suo legasalvietta
su e giù, su e giù.
I piatti davanti
si cambiano in fretta.
Minestre fumanti,
deliziose purè,
centomila saporosi patè.
Non toccano cibo gli undici,
immobili guardan di scorcio
il passare veloce
dei piatti davanti.
Legumi degli orti proibiti,
maravigliosamente conditi,
tacchini, beccacce, pernici,
si mutan nei piatti
degli infelici.
Tenerissime erbette,
i più ricercati
inverosimili dolci,
rubicondissime frutta.
Si mesciono vini di tutti i colori
nei più svariati bicchieri,
champagne, caffè, liquori.
Immobili gli undici,
le mani compunte, congiunte,
i gomiti stretti,
nella massima rigidità,
neppure una volta si volgono
di qua o di là;
la bocca serrata,
inarcate le sopraciglia,
senza mai un cenno di maraviglia
guardano il piatto di scorcio.