LA FINESTRA TERRENA

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Talora irresistibile
lo stimolo m'assale,
del più mondano passatempo:
vedere il mondo girare.
Discendo le scale,
traverso le sale,
apro le porte
delle sale morte,
e dietro delle grate,
delle oscure vetrate,
m'appiatto per guardare
il mondo camminare.
E guardo delle ore nell'immobilità,
finchè finisce il giorno
e la sera incomincia
nella vecchissima
città di provincia.
M'interessa più di tutto
la miseria, sventurata,
si ritorce e si dimena,
stampellando piruettando,
per passare inosservata.

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E guardo:
ecco Donna Picconi colla figlia,
una cospicua famiglia,
orribilmente decaduta però.
Leone Capperini, consiglier socialista,
passa di tutta corsa,
dicono il pezzo forte della lista.
Sebastiano Santodoro,
il direttore dell'Ospedale,
professore, commendatore,
dicono un animale fenomenale.
Una giovine donna in bicicletta.
Vè come mostra il tondo!
Ella s'infischia del mondo,
certo certissimo.
Padre formicone
appoggia sul pancione
il suo pizzicotto di tabacco,
si fermasse un minuto
quel vecchio tabaccone!
Vedi vedi,
la miseria à preso stanza,
per passare inosservata,
con un'aria d'importanza
dentro una lettera raccomandata.
Carolina Vergnì, vecchia ballerina,
che sottana indecente poverina!
Che strano cappottino!
Una donna con tre fiaschi di vino.
Una vecchia molto secca
trascina con cautela
per un sudicio cordino

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un decrepito cagnolino in pardessus.
Un'ordinanza porta un bimbo a spasso,
la gente corre o si dilunga passo passo,
eccetera, eccetera.
Guarda guarda,
la miseria arranca arranca,
alla fine s'è posata,
molto stanca, sulla panca
d'una tasca colorata.
E io guardo, io guardo
quel poco passare.
Finisce il giorno
e la sera incomincia
nella vecchissima
città di provincia,
imbruna, e io ritorno.
Traverso le sale.
richiudo le porte
delle sale morte,
risalgo le scale.