con champagne francese
e i dolci di Alemagna.
L'hanno portato in trionfo
per tutta la città
con corteo di popolo che non finiva più
la banda in testa
quindi l'autorità con l'onorevole Sindaco
che lo teneva disteso come una reliquia
perché tutti lo potessero vedere:
«dove lo portano? dove lo portano?»
gridavano tutti con impazienza
boccaloni che non siete altro
non lo sapete ancora?
ciavete dunque il cece dentro agli orecchi?
E allora ricordatelo bene
ve lo dico per l'ultima volta:
lo portano in Piazza della Libertà.
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Se la mamma ti domanda
chi t'ha rotto la passerina
uno studente di medicina
uno studente di medicina.
Dove siamo?
Spinte pugni gomitate
che non fanno mai paura
che non lasciano mai traccia
né un'ombra di rancore
nell'espressione della faccia
e quando udite un grido
«è un grido di dolore?»
vi vien fatto di pensare,
neanche per idea,
son le giovani membra
che si affrancano
dalle angustie del nido.
Di dove veniamo?
Per trovarci sopra un piano
di eguaglianza
scendiamo
da ogni gradino
della società
sgorghiamo come l'acqua
da ogni rivolo della terra.
Quanti siamo?
A contarci non pensiamo
non abbiamo mai pensato
e quando ci contiamo
non lo facciamo per calcolo:
ci contiamo cantando.
Che cosa siamo?
Perché ripetere
quello che tutti sanno?
che banalità!
Lo sanno anche le donne
oramai
che siamo le colonne
dell'Università.
Che vogliamo?
Tanto vogliamo
che non riusciamo a dirvelo
perché vogliamo tutto
non solo quello
che vi par bello
ma quello altresì
che vi par brutto.
Dove andiamo?
Non si sa
né ce lo domandiamo:
si va... si va... si va...
ma sappiamo
senza saperlo
e nel modo più sicuro
che l'avvenire è nostro
e nessuno ce lo toglierà.
Se la mamma ti domanda
chi te l'ha rotto l'òbice
uno studente che studia il codice
uno studente che studia il codice.
Siamo belli?
Lo affermiamo solamente
con un fugacissimo sorriso
difficile da cogliere
sopra le nostre labbra
enigmatiche
come quelle di Narciso
ogni qualvolta avvenga
di vedere riprodotta
la nostra immagine
in uno specchio:
le sembianze
del nostro viso.
Siamo violenti?
Siamo giovani: ecco tutto,
e da tali
ci dovete giudicare,
volenti o nolenti,
anche allorquando
gridiamo a perdifiato
minacciando
una scarica di botte
solo per affermare
senza complimenti
la nostra naturale
vitalità
e al tempo stesso
per svegliare i dormienti
giacché dormono indisturbate
in mezzo a noi
un'infinità di marmotte.
Che sappiamo?
Troppe cose dovendo imparare
abbiamo imparato a sapere
soltanto
quello che non sappiamo
ma non vi sembri poco
perché ora sappiamo dov'è
per impararlo.
Quando piace di vivere
sembra di amare tutto
che tutto corrisponda
al nostro amore
amore che non conosce limiti
che non conosce soste
e colui che lo respinge,
fate bene attenzione
a quel monsiù,
perché è precisamente quello
a cui piace di più.
Chi saremo?
Non è facile dirlo
a questa età
ma sappiamo
senza tema di sbagliare
che saremo qualcheduno
qualcheduno molto in su
nella scala dei giganti
dell'intera umanità,
non ci basta di contare
quanto conta un papà.
E poi?
L'ufficio
di pensare al poi
lo riserbiamo a quelli
che sono nati
prima di noi.
Se la mamma ti domanda
chi t'ha rotto il tafanario
uno studente veterinario
uno studente veterinario.
Era lei si si
era lei no no
era lei che lo voleva
quel mazzolin di fior.