Via Appia Antica

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Dopo avere saltato
come un camoscio
sull’erba alta,
mi son gettato riverso
affondando nella sua morbidezza,
e per la gioiosa stanchezza
mi sono profondamente addormentato.

Purità di quel sonno
nell’aria profumata
dal polline fecondatore
di tutte le erbe,
e nella luce abbagliante

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del pomeriggio di primavera.

Al mio risveglio,
dopo forse due ore,
quando il sole all’orizzonte
pareva scendere
rosso infuocato
a incendiare la terra,
quasi vi fossi caduto dal cielo
mi guardavo in quel luogo
stupito e felice.
Finché non toccò l’apice
il mio stupore
vedendo che un signore
aveva dormito vicino a me
e ora, come me,
affondando il corpo nell’erba,
supino e ad occhi spalancati
fissava il cielo.

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Un signore... di pietra grigia
con ricchissima chioma inanellata,
inanellata la barba,
e l’aspetto della massima nobiltà.
La toga superba
gli scendeva a grandi pieghe
fino a metà delle gambe
dove finiva la sua persona
spietatamente mutilata.

Il pino solitario,
dal tronco colossale,
produceva
un baldacchino regale
altissimo
sopra la nostra testa,
e il verde della cupola,
immensa,
dorato dal sole in discesa

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nell’aria ferma
dava il tono di solennità
millenaria
al signore di pietra grigia
e alla mia maraviglia.

Dal petto eruppe il grido:
«un Dio!»
Un Dio... in ripudio,
dalla persona crudelmente mutilata
e abbandonata crudelmente
nell'erba profumata
della Via Appia Antica.
Un Dio...
che nonostante il disprezzo
e la sventura
incuteva rispetto al mio sguardo e...
quasi paura,
vicino al quale avevo dormito
senza saperlo
un placidissimo sonno

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e ch’egli, il Dio reietto,
ancora olimpico nell'abiezione
olimpicamente aveva protetto.

Avvicinatomi a lui
con tenerezza di fanciullo
mi posi a carezzarlo,
liberandolo dai tanti fruscoli
di cui gl’insetti e le formiche
producevano piccoli covi
nelle ondulazioni
della chioma inanellata e della barba,
nel cavo degli orecchi e della bocca,
nelle pieghe illustri della toga
che ricopriva regalmente
la sua persona.
E pareva
che il mio interesse pietoso
rendesse lieto il suo viso
e sorridente l’occhio
fissando il cielo,
e nel freddo del totale abbandono

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appariva riscaldato
al tepore della mia carezza
grato di un po’ d’affetto
il Dio cacciato
dopo essere stato tanto amato
per tanto tempo.