della donna
implorante pietà,
si distingue una lacrima a metà,
l'occhio destro è caduto.
Si vede ancora bene,
nell'atto di fuggire,
il volar della gonna
dal vento troppo mossa,
gonna leggera a crespe
di fine seta rossa.
Ancor si vede, sopra di una spalla,
una ciocca di capelli discinti.
Dove corri? Chi sei?
Perché piangi così?
Qual ragione ti mena?
Margherita?... Teresa?... Maddalena?...
Maddalena!
E l'uomo sta seduto,
in ruvido saio,
sopra il tronco di un albero.
Ben si distingue ancora
la sua faccia scarnita e sparuta,
le mani ch'egli preme
sulle tempie e sugli occhi,
e i gomiti puntati sui ginocchi.
Dove guardi? Che fai?
Francesco o Antonio?
Hai paura del Signore o del Demonio?
Guardi laggiù quel verde?
Non è un tappeto, sai,
è il prato di Gesù.
Ti fan paura tutte quelle gonne?
Sono le spose di Gesù quelle donne.
Dove guardi con orrore,
nel color di quel prato
o in quello del tuo passato?
La tua vicina di pittura
è quello che t'impaura?
La sua veste troppo fina,
quei capelli, l'occhio suo,
ti ricordan la tua vita?
Non temere, non temere,
non isbigottire,
lascia le tue tempie,
è una povera pentita.
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Habel Nasshab, sei bello tu,
con quegli enormi calzoncioni blu!
È il fido, il solo.
Il fido custode, il solo compagno;
il solo che trova dischiusa ogni porta
davanti al suo passo
qua dentro.
Mi segue e non sento il suo passo,
siccome un pensiero cammina,
un dolce pensiero che guarda
con occhio di calma e di gioia.
Io dormo, egli veglia.
Ai piedi del letto egli veglia:
di rado egli dorme, brev'ora.
Mi guarda sereno, mi segue, mi serve.
Non cenno,
non sillaba ad Habel bisogna,
non parla,
cogli occhi soltanto mi parla,
cogli occhi gli parlo.
Io prego,
io son genuflesso a piè del mio altare:
mi guarda commosso.
Talora mi volgo: