Gente

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Femmine e maschi
giovani e vecchi
di mezza età
ricchi e poveri
brutti e belli
a volontà
eleganti e malvestiti
irreprensibili e in brandelli
grandi e piccini
giganti
cazzabubboli e coglioncelli
bambini...
Quanto seme!
mi vien fatto di pensare
se vi guardo tutti insieme
mescolati nelle piazze
e per le vie della città
come guardando i prati
dove la messe seguita a gonfiare
per un eccesso di maturità.
Che importa di sapere
tale massa che cos'è?
di dove viene e perché?
tanto meno dove va
è la gente che non appartiene
e nella quale è inclusa
indissolubilmente
ogni parte di me.
E è bello da osservare
quello che vi produce
lo spirare dei venti
e come si abbandona alle ventate
fino a moltiplicarsi
con rapidità vertiginosa
voluttuosamente
mentre per il formarsi

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di avverse correnti
sempre pronta a distruggersi
con voluttà sanguinosa
dando un limpido esempio
di crudeltà forsennata.
Penetrare in quella massa
vi chiedete ad un certo momento
dopo avere osservato bene
dopo avere osservato tanto:
è una cosa che si fa?
che si può fare?
che viene bene?
Penetrarvi ad ogni costo
per estrarvi un elemento
che dà tutta l'illusione
d'essere uguale a te
in quel momento
difficile da prendere
ma con lui d'essere a posto
scavando con passione
con accanimento
e ripetendo
senza potersene stancare:
ci sarà
ci deve essere
sicuramente c'è
ci deve stare...
Ma non appena estratto
con una fatica da toro
accorgersi poco a poco
di non potersi conoscere
pure sembrando uguali
e senza potersi capire
parlando il medesimo linguaggio.
Costruire un manico
per poterla afferrare
sia pure in minima parte
se non in parte totale
simbolicamente
un manico

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eseguito a regola d'arte
e di una magnificenza
imperiale
tutto d'oro massiccio
e tempestato di gemme
per poterla afferrare degnamente
ma per trovarsi in mano
stringendo quel manico cesareo
un recipiente brutto
simile ad una larva
di forma repellente
vuoto del tutto.
E una volta che ogni impresa
sia pervenuta al fallimento
che si fa?
che cosa resta a fare?
ci chiediamo
osservando quella massa
disincantati
e pieni di sgomento:
«più nulla è da sperare
più nulla me ne viene
più nulla ne verrà...»
Quando m'accorgo
finalmente
quello che è
quello che sia
quello che mi può dare
effettivamente
se la guardo come si guardano
gli alberi dentro la foresta
come si guardano le onde
nell'acqua del mare.

Roma, Febbraio 1974.