Quando sogno la mia città nel volontario esilio sento le mie radici in quell’angolo che va dalle Logge del Vasari e dell’Orcagna fino a tutto il sagrato di Palazzo Vecchio. Lì è il mio ceppo oramai estinto. E mi sento di quello un lontanissimo esile virgulto cresciuto inutilmente e fuori tempo per vivere nella malinconia di un ricordo ai piedi di quei giganti che uscirono dall’ombra per proclamare con tutta la loro forza e bellezza la forza e la bellezza dell’uomo. E dove sembra di sentire ancora il crepitio di una fiamma che doveva bruciare un frate sacrilego insolente e ambizioso contro tanta gioia di vivere insorto furibondo. La sua bocca emanava un alito verdognolo parlando, e che pretese d’imporre la propria volontà a Pontefici e Sovrani: perfino a Cristo che non rispose al suo orgoglioso appello. Ma bene rispose da Roma il suo Vicario per cui di tanta boria nemmeno un pugno di cenere è rimasto.