Facendo luccicare
fra tanti bei compagni
il proprio argento
guizzava
baldanzoso e vanesio il pesciolino
dentro il vivaio dell’osteria
che sulla riva del fiume
offriva un giardinetto
odoroso di menta
e circondato di biancospino.
E per la gioia di vivere
agitando la coda lesto lesto
con la bocca spalancata
aspirava tanto ossigeno
quanto ne richiedeva il suo rigoglio.
Ma un colpo del retino lo comprese
nella facile pesca che fece l’oste
nel vivaio di quel giardino
facendolo passare
sapientemente infarinato
dalla frescura di quell’acqua
a dar l’ultimo guizzo
nell’olio bollente della padella.
E poi da me, una volta fritto,
esecrabile tomba del pesciolino.