Come molti di voi
dicendo tutti mi vedreste inorgoglire
avevo creduto sempre
che quanto m’è concesso di vedere
fosse al difuori
del guscio preziosissimo
che custodisce il tesoro
della mia piccola mente
e dentro non ci fosse che il motore
che tali cose mi consente di vedere
mentre avvertivo
degli strani fenomeni
internamente:
movimenti
che mi facevano trasalire
indistinti rumori
a interruzione o getto
imprecisate voci e sussurri
colpi impercettibili
a percussione
che mi mettevano in sospetto.
Dopo tanto ascoltare
indagare dedurre almanaccare
attendere fiducioso e paziente
studiando con rigore
ebbi la convinzione
che dentro la mia testa
qualche cosa ci fosse veramente.
Qualche cosa... ma che?
E via via che in tale studio
procedendo con ansia
pari all’ardore
nell’attesa angosciosa
della rivelazione
sempre meglio mi consolidavo
in tale certezza
più complessi apparivano i fenomeni
più forti ed insistenti
nella loro crescente chiarezza:
rumori suoni voci sussurri...
Qualche cosa... ma che?
Fino che un giorno
il colpo della Provvidenza certamente
la verità mi apparve
con la naturale semplicità
delle cose supreme.
Lo volete sapere
quello che dentro la mia testa
vive e si muove da sempre?
Ve lo do a indovinare in mille:
una città.
Per poco non caddi estinto
difronte al rivelarsi
della terribile realtà.
E sempre meglio
una volta aperto il varco
a stabilirne
le strutture e la dimensione
il genere di vita e i suoi caratteri
il carattere specifico
del clima e del paesaggio
della popolazione.
Una città...
né grande né piccina
mediocre
perfettamente normale
in ogni suo particolare
senza nulla di eccessivo
o stravagante
nulla di veramente originale
monotona e noiosa
come tante altre
nonostante il rumore e la confusione
popolata da gente qualunque
cretina per la massima parte.
Se non fosse il terremoto
ogni tantino
a provocare delle scosse
e voi sapete bene che macello
non appena la casa
si mette a tremare
figuratevi un poco
quando si mette a tremare
il cervello.
Se non fosse un’alluvione
a cambiare il corso delle acque
se non fosse qualche crimine
qualche furto in grande stile
o un groviglio inestricabile
a svegliarne l’attenzione
malgrado i colpi di grancassa
e gli scoppi del trombone
per parte della banda municipale
alla cittadinanza
sembrerebbe di dormire.
E nel tempo medesimo
che con insistenza spasimosa
ero teso come un arco
per afferrarne il nome
mi giungevano all’orecchio
misteriose
incomprensibili parole:
Amme Camme Lamme Lemme
Amme Camme Lamme Lemme
Amme Camme Lamme Lemme...
Nome che mi sfuggiva
quando stavo sul punto di afferrare
e mentre mi logoravo
nella smania di conoscerlo
giacché
voi lo sapete bene
una città senza nome
non può esistere
e infatti sulla terra
non esiste
sarebbe una vergogna
inammissibile
financo un paesucolo
di trentanove abitanti
si mostra fiero del proprio nome
che porta sopra il capo
come fosse una corona di brillanti:
Amme Camme Lamme Lemme
Amme Camme Lamme Lemme
Amme Camme Lamme Lemme:
Calem!
Da quel giorno fatale
fatale senza tema di smentite
nei momenti di sedicente libertà
anziché andare gironzolando
per le strade
di Roma o di Milano
di Venezia o di Firenze
come voi fate
e come anch’io
avevo fatto sempre
me ne vado gironzolando
per le vie di Calem:
osservando senza attrazione
senza un reale interesse
tutti quelli che passano
massa insignificante
d’insignificanti persone
leggendo sopra i tetti
e alle muraglie
sulla porta delle botteghe:
Motta e Alemagna
Cocacolalimonappiapuntemes
e dopo i Baci della Perugina
Vecchia Romagna.
Chiudendo gli occhi
per poter tollerare
la pressione
tracotante dei maschi
dalle gambe bene piantate
le punture velenose
che procura il taccospillo delle donne
facendomi accapponare la pelle
il rullare sfiatare strombettare
delle macchine
che nelle ore di punta
annebbiano la ragione
allorquando
la spremuta del corpo umano
gareggia di vantaggio
con quella del limone
e mentre nel deserto agghiacciante
delle ore notturne
come relitti nel mare
mi fermo a scambiar due parole
con una passeggiatrice:
«Che cerchi dunque
si può sapere?»
mi rivolge sfrontata e insolente
per la mia indifferenza inesplicabile
la mia aria inconcludente:
«povera grulla
mettiti il cuore in pace
perché da te
non cerco proprio nulla
volevo solo dirti
che questo tuo passeggiare
poco dal mio differisce
anch’io
ho qualche cosa da offrire
qualcosa di più nascosto e pudico
di quello che offri te
offro l’anima mia
senza saper perché».
E ora che succede?
Si direbbe che la testa
mi si voglia scoperchiare
per un subito schiamazzo
di violenza infernale:
dimostrazione di protesta
tafferugli in piazza
sciopero generale.
Quasi ciò non bastasse
un urlo forsennato
mette a durissima prova
la mia povera testolina:
siamo al decimo gol
della squadra cittadina:
bene eh?
Mentre dopo un furor di battimani
per parte di persone beneducate
la folla che si acciacca
uscendo nella luce di un portone:
«Che bella cosa! che bella cosa!»
proclama ad una voce
senza avere capito un’acca
dopo uno spettacolo d’eccezione.
E questo lento
insopportabile mormorare
questo lugubre struscio
di gente in fila e a capo chino
per dimostrare un dolore
che non esiste
e ch’io debbo sopportare:
dev’essere un funerale.
Meno male
uno di meno a camminare
per le vie di Calem.
Ma già
se ora uno ne muore
ne nasceranno due
fra poche ore.
Né potevo sbagliare:
il più allegro pandemonio
mi assale subitamente
mangiando a crepapelle
e trincando come monne
si brinda alla salute del neonato
che fa: Huè! Huè! Huè!
Non sembra vero
anche in Calem quando si nasce
si fa: Huè! Huè! Huè!
come in ogni altro paese:
la solita musica ovunque.
E risate ancor più grasse
con scorpacciate pantagrueliche
dopo un falso giuramento di fedeltà
durante il pranzo di nozze:
Ah! Ah! Ah! Ah!
Ma io so già
quello che a mio riguardo voi pensate
che questo che mi capita
tremendo da non dire
capita solo a me.
Illusione la vostra!
Beato candore!
Impagabile felicità
delle creature ingenue.
È questione di vedere
e di sapere
ascoltare ed aspettare
pazientemente
attentamente
in ansietà
e quello che mi capita
capiterà anche a voi
sicuramente.
Non vi posso assicurare
intendiamoci bene
che tutti nella testa
abbiate una città
Dio me ne guardi
né voi me lo sapreste perdonare
ma un minuscolo villaggio
certamente
un sorridente
e magari idillico paese
una borgata
una cascina
un casolare
il casino di campagna
o la villetta al mare
sappiatevi ascoltare e vedrete.
Un ruscello
un laghetto
una piscina
un parco col castello
una chiesuola col suo campanile
il presbiterio d’una cattedrale
a chi potrebbe sfuggire
quando suonano le campane?
Un mulino una palestra
un’officina un ospedale
un pianoforte
con la signorina che fa le scale
i vocalizzi
del soprano o del tenore
una piccola osteria
con le tavole apparecchiate
in attesa del cliente
una collezione
di cartoline illustrate
i francobolli d’ogni continente
ascoltatevi
e mi saprete dire
ascoltatevi bene
prima di rispondere.
Un albergo di lusso
o una pensione
di quelle malfamate
dove rimettono senza allegria
le donnine allegre.
Un cinematografo
di terza visione
laddove il senso tattile
supera a cento doppi
quello del vedere.
Un teatrino di varietà
con le ballerine
che mostrano le gambe
storte generalmente
ed altro ancora in generale
tutto ballonzolante.
Un libro con la mano che lo sfoglia
il lento ma sicuro
germogliare d’una foglia…
qualcosa ci dovete avere
non mi venite a dire
che non ci avete nulla
per carità
o mi vedrete morire.